martedì 6 maggio 2008

Argon Academy: Lectio Magistralis di Stefano Balassone

Virtual Lectio Magistralis su Second Life del Prof. Stefano Balassone, “l’inventore” di Rai 3. L’evento, organizzato dalla Argon Academy, si svolgerà in aula nell’ambito all’interno del corso di Scienze della Comunicazione dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.

“Quanto è virtuoso il virtuale”, questo il titolo della Virtual Lectio Magistralis di Stefano Balassone che si terrà Lunedì 12 maggio dalle ore 17:00.

La lezione sarà svolta in contemporanea nell’aula di Economia dei Media, corso della facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università Suor Orsola Benincasa, ed in Second Life, presso l’Argon Academy, agenzia di formazione nata nell’ambito del Progetto Argon di Intesa San Paolo e Core Consulting.

Per partecipare alla lezione è sufficiente raggiungere la seguente Slurl:

http://slurl.com/secondlife/skeezits/201/120/22

Da wikipedia:

Stefano Balassone è un produttore televisivo, autore televisivo e scrittore italiano.

Il suo operato come consigliere d'amministrazione Rai dal 1998 al 2002 e, precedentemente, come vicedirettore di Raitre al fianco di Angelo Guglielmi (con il quale ha pubblicato numerosi saggi), lo annovera certamente tra i personaggi che hanno ideato un nuovo modello di televisione in Italia.

Negli anni che vanno dal 1987 al 1994 Raitre diviene infatti una rete innovativa, cinica e coraggiosa; per la prima volta in Italia si parla di "TV verità" e programmi come Milano, Italia, Quelli che il calcio, Avanzi, Samarcanda, Blob, Telefono giallo, Mi manda Lubrano, Chi l'ha visto? e Un giorno in pretura vengono messi in onda per la prima volta innalzando lo share della terza rete Rai dal 2% ad oltre il 10%.

Dal 2000 è docente di "economia dei media" e di "economia e management dello spettacolo" presso il corso di laurea in scienze della comunicazione dell'Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli.

mercoledì 30 aprile 2008

IL PROPRIO AVATAR COME UN VERO CAPOLAVORO DELLA MUPPET-ART

Secondo appuntamento con le lezioni sperimentali della Argon Academy, l’agenzia di formazione in Second Life, nata nell’ambito del progetto Argon di Intesa san Paolo.

Riky Soderstrom dell’Università di Torino, esperto di Second Life, insegnerà ai partecipanti metodi e trucchi per fare del proprio avatar un avatar di serie “A”.

La lezione, alla quale si può prendere liberamente parte, si terrà Lunedì 5 maggio 2008, alle ore 21:00 sulla land di Argon, raggiungibile con la seguente URL:

http://slurl.com/secondlife/skeezits/201/120/22

La cura del proprio avatar in Second Life ha dato luogo ad una vera e propria moda che potremmo definire virtual muppet art, grazie anche alla possibilità di utilizzare infinite utilities ed opzioni. Dopotutto anche nel metaverso, l’apparenza conta!

Prossimo appuntamento, sullo stesso argomento, il 12 maggio alle 21:00.

mercoledì 2 aprile 2008

SECOND LIFE, NASCE L’ARGON ACADEMY.

Prenderà il volo il 17 aprile con un lancio speciale ai cittadini di Second Life, la prima iniziativa italiana di corsi generalisti nell'universo virtuale della Linden Lab. La Argon Academy è una vera e propria agenzia di formazione che proporrà gratuitamente corsi sulle materie più disparate. Il progetto viene portato avanti da un gruppo di giovani laureati e scienziati, provenienti da tutta Italia, i quali hanno preso parte ad un corso di formazione promosso su Second Life dal gruppo Intesa-SanPaolo.

Si parte con una lezione dal titolo "La Fisica per tutti" tenuta da una ricercatrice del CERN di Ginevra, già tra i promotori dell'iniziativa. Seguiranno altre "chicche", tra cui spiccano le lezioni di Stefano Balassone. Il professore di economia dello spettacolo a Napoli, ex-consigliere d'amministrazione e vicedirettore di Raitre al fianco di Angelo Guglielmi ha accettato con entusiasmo di prendere parte all'iniziativa.

Ovviamente, la preparazione del tutto è avvenuta senza mai vedersi di persona, tutto sul mondo virtuale di Second Life.

La formazione a distanza è una delle chiavi di sviluppo dell’economia prossimo-ventura, laddove i tempi e gli spazi della vita lavorativa si dilatano e si aprono ad una maggiore flessibilità del tempo-lavoro. In questo le piattaforme virtuali giocano un ruolo di primo piano, ricreando un clima di lezione frontale e di scambio di conoscenze che il passaggio dal vecchio al nuovo modo di fare formazione non deve far perdere.

giovedì 6 dicembre 2007

CULTURA ORGANIZZATIVA, PROCESSI COGNITIVI E BUSINESS STRATEGY NELLE PMI – II

La strategia è un artefatto culturale
Presa quindi coscienza dell’importanza dei valori e della condivisione di questi, per la fioritura di un orientamento strategico strutturabile in piani, passiamo ora ad analizzare l’aspetto della formazione e sedimentazione dei valori in azienda, attraverso l’interazione ed i processi cognitivi che stanno alla base. Adotteremo, per questa parte dello scritto, un approccio ergonomico post-tayloristico, basato quindi non sull’analisi del compito e sulla visione consequenziale e lineare del rapporto tra azioni e cultura ma sul concetto di co-costruzione elaborato da Mantovani e Spagnolli (2000) in relazione alla tecnologia. Scrive Mantovani:

L’espressione “cultura aziendale”, solitamente usata in modo piuttosto vago per postulare l’esistenza di qualche aspetto comune alle pratiche di una data organizzazione, acquista nell’ottica culturale un senso preciso: significa che IBM, Microsoft, Digital, ad esempio, contengono determinate configurazioni di idee, scopi, esperienze – prodotti dalla loro storia e incorporati nello stile delle riunioni come nell’abbigliamento dei dirigenti – che il nuovo assunto si trova davanti e che può cambiare solo a patto di averli prima fatti propri.

Possiamo, infatti, vedere la business strategy come una tecnologia, nel senso più moderno e attuale del termine. La business strategy è qualcosa che, a partire dalle nostre conoscenze, e con l’ausilio dell’intelligenza individuale e collettiva, mettiamo a punto per servircene nella vita operativa.
In questo senso la business strategy è un artefatto culturale che, come tale, va sviluppato ed utilizzato all’interno di una determinata comunità di pratica, discendendo in larga misura, come abbiamo già detto dalla cultura della stessa.
Ma spieghiamo meglio il concetto di artefatto per avallare le affermazioni di poc’anzi. Un artefatto tecnologico, ma in questo caso un artefatto concettuale, cioè fatto di idee, obiettivi e cultura, è uno strumento che l’uomo mette a punto al fine di poter ottimizzare le proprie attività. Viene da sé che un’attività economica priva di un ordine di prospettiva e di obiettivi precisi sfocia nel caos e nell’indeterminatezza della decisione. Inoltre un tale tipo di attività si affiderebbe prettamente all’intuito umano (cosa che, purtroppo o per fortuna, accade spesso nella realtà) e, in mancanza dell’analisi strategica, non prenderebbe co-scienza della realtà operativa.
Ecco perché l’organizzazione, nella persona di chi la compone, si serve della strategia come artefatto a disposizione di tutti i componenti dell’organizzazione stessa. Questi, nella loro operatività quotidiana si servono del piano strategico per supportare le proprie decisioni e per rispondere alle stimolazioni dell’ambiente. In una visione objective oriented, il piano strategico è la principale fonte di entropia negativa che regola il sistema organizzativo. Ma ciò avviene solo se la business strategy viene vivificata dall’uso da parte dei componenti dell’organizzazione. Come ogni artefatto, anche la business strategy vede la sua realizzazione solo nella fattualità del suo ambiente d’uso.
Chiarito questo concetto possiamo allora porre le basi, con l’aiuto del testo di Mantovani, già citato sopra, per un’ergonomia della business strategy, che sia basata sul concetto post-taylorista di intimate technology e comunità di pratica. L’obiettivo, anche se cercato con mezzi ergonomici, è puramente comunicativo, ed è quello di capire se esistono strategie che si adattano meglio di altre all’uomo ed al suo modo di pensare e lavorare in gruppo.

CULTURA ORGANIZZATIVA, PROCESSI COGNITIVI E BUSINESS STRATEGY NELLE PMI - I

Orientamento strategico e cultura organizzativa
Racchiudere questo scritto all’interno di un alveo disciplinare è difficile, quasi impossibile. Esso discende dalla frammentarietà coerente che ha contraddistinto la mia formazione negli ultimi mesi. L’obiettivo è inequivocabilmente quello di indagare le strade che portano alla formazione di una strategia condivisa all’interno dell’organizzazione, dalla quale derivano le asimmetrie di motivazione nei mercati, partendo dall’interazione tra individui e dai processi cognitivi e affettivi che mettono insieme i mattoncini della cultura organizzativa.
L’importanza della strategia in rapporto ai mercati è quanto mai cruciale. Un’attenzione profonda e intelligente alla propria posizione dinamica nei mercati è forse la leva di successo principale per chi compete sul piano globale. Tuttavia la nascita del vantaggio competitivo come concetto astratto e pre-aziendale deriva proprio dal fatto che non tutti i giocatori del mercato adottano la stessa strategia nello stesso momento. Le vittorie e le sconfitte sono sempre discese da questo fatto incontrovertibile: 1) i competitors effettuano scelte diverse; 2) uno o più di loro effettuano la scelta migliore rispetto al contesto; 3) uno o più di loro vince. Ma perchè, se esiste una strategia migliore”in quel momento ed in quel luogo”, solo alcuni la adottano, mentre gli altri soccombono come se fossero ottusi, ciechi. La spiegazione di questo fenomeno affascinante e spietato allo stesso tempo ha molte ragioni di fondo, ma una forse gioca un ruolo particolarmente perverso non ancora esplorato adeguatamente: l’asimmetria nella motivazione.
Tale concetto è alla base della soluzione del famoso dilemma dell’innovatore, tema al centro dell’omonimo e celebre libro di Clayton Christensen e Michael Raynor. Secondo i due autori le innovazioni scardinanti, cioè quelle rivolte alla fascia bassa del mercato, che attaccano il network di valore originario e predominante pongono le aziende incumbents di fronte all’obbligo di ritirarsi. Queste hanno, infatti, una motivazione differente rispetto alle aziende che operano l’innovazione scardinante. Mentre le prime vogliono offrire lo stesso prodotto/servizio ma a prezzi e condizioni d’uso migliori, le seconde, per esigenze di crescita, sono costrette a rivolgersi alle fasce alte del mercato operando innovazioni progressive e miglioramenti al prodotto e premium price.
Una strategia è molto più che una serie di decisioni prese dai CEO, basandosi sulla propria scaltrezza e intelligenza, è anche e soprattutto questo, ma non solo. Ciò che si vede ed è la punta dell’iceberg di una strategia sono i piani strategici, documento finale di riferimento per l’operatività organizzativa dei prossimi anni. Dietro quella lista di priorità, di obiettivi e stili e metodi per raggiungerli, vi sono, però una serie di idee che discendono direttamente da ciò che l’organizzazione è e dovrà essere, per sé stessa, per i suoi componenti e per gli stakeholders, in una sola parola, dietro un piano strategico coerente e indovato nell’azienda si nasconde la cultura organizzativa.
La cultura organizzativa è un concetto ben sviscerato nella letteratura economico-aziendale. Essa viene collegata alla performance in quanto fattore condizionante. Può, infatti, essere vista come fonte di una performance superiore. Per Barney la cultura organizzativa è

Un complesso di valori, credenze, assunti, e simboli che definiscono il modo in cui un’azienda
conduce il proprio business.” (Barney 1986).

Christensen (2004) afferma che la cultura, nel senso di valori, è il principale mezzo attraverso il quale il management decide l’allocazione delle risorse disponibili. I valori condizionano, infatti, le scelte strategiche dei CEO e le attività/mercati ai quali destinare le risorse. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Sciarelli, per il quale, l’orientamento strategico

È rappresentato dal complesso di valori posti alla base della vita aziendale. Ciascuna azienda, infatti, può perseguire dei valori di fondo particolari connessi con il ruolo da rivestire nella società, con i bisogni sostanziali da soddisfare, con i principi etici da diffondere e far applicare all’interno dell’organizzazione [2002].

L’orientamento strategico è dunque fortemente influenzato dalla cultura organizzativa. I valori che si diffondono nell’azienda e vanno a costituire il capitale immateriale che sostanzia l’identità dell’organizzazione.

mercoledì 14 novembre 2007

la comunicazione tra il prodotto mediale ed il suo consumatore

Come gli elementi di un prodotto mediale possono interagire a più livelli con la nostra mente

La mente umana viene colpita da ciò che esperiamo in modi diversi e complementari. Un prodotto editoriale, come un qualsiasi altro genere di prodotto, può entrare in contatto con il destinatario su tre livelli, quello viscerale, quello comportamentale e quello riflessivo (Norman, 2004). Immaginiamo un’importante rivista di moda; questa ci colpirà sicuramente per la sua copertina patinata, ricca di colori vividi, lucida alla vista e liscia al tatto. Questo è il livello viscerale, immediato ed inconsapevole, al quale una rivista del genere può toccarci, perfino attraverso il buon odore della carta. Non da meno un colpo alla pancia ci verrà dalla straordinaria bellezza della donna o dell’uomo, o del paesaggio, che hanno meritato la copertina. Il nostro sguardo verrà attirato subito da qualcosa che il lato razionale della mente non ha ancora esaminato.
Così agisce il livello viscerale, spinge subito l’attenzione verso un oggetto, per il quale la nostra attrazione (o repulsione) è inscritta nel codice genetico. L’essere attirati dalle forme levigate e lucide, dalla bellezza del corpo umano, dai colori vivaci (se potessimo chiedere ai neonati quanto gradiscono i colori vivaci, già sappiamo cosa ci risponderebbero), sono tutti elementi che l’evoluzione ha strutturato nel tempo. L’attrazione per le superfici lisce viene dalla sicurezza di non ferirsi nel toccarle, il timore innato per gli oggetti acuminati viene dalla paura di ferirsi. Sono innumerevoli gli esempi che potremmo fare. A noi interessa, però, riferirci a quella fetta di realtà che stiamo esaminando, cioè il prodotto mediale. Pensiamo ad alcuni documentari di ultima generazione, i quali utilizzano la computer grafica per dare appeal viscerale al contenuto scientifico, o pensiamo ad alcuni film del regista cinese Zhang Yimou (Hero, 2004; La foresta dei pugnali volanti, 2005), dove il colore e la spettacolarità delle scene talvolta sovrastano il contenuto narrativo. Storici, infine, sono i cartelloni di Oliviero Toscani che, in certi casi, giocano quasi esclusivamente sul livello viscerale.
Sul livello comportamentale agiscono, invece, altri fattori di un prodotto mediale, legati alla funzionalità ed agli scopi, nonché alla forma ed alla leggibilità del messaggio. Ad esempio, sempre per riferirci alla rivista di moda di cui sopra, la chiarezza espositiva dei testi, la completezza dell’informazione, l’ergonomicità dell’impaginazione, sono tutti elementi che riguardano l’utilizzo della rivista in senso stretto. Pensiamo ad un film di qualità scadente, con un intreccio mal combinato e dialoghi banali. Questo non soddisferà la funzione di sospensione del pensiero razionale che normalmente i film devono adempiere. Piuttosto ci annoierà al punto da doverne interrompere la visione. Pensiamo poi ad un manifesto che non rispetta le norme di sistematizzazione degli elementi grafici, con un lungo testo al centro e l’intestazione del committente, minuscola, messa in un angolo; il destinatario non avrà tempo di leggere il testo e non ricorderà di quale marca si tratta, due defajance che inficiano la funzione del prodotto e agiscono, quindi, sul piano comportamentale.
L’ultimo livello è quello riflessivo, il più soggetto all’azione della cultura, dell’esperienza e dell’educazione. È qui che l’idea che abbiamo di noi stessi, della nostra identità, condiziona il nostro rapporto con i prodotti mediali. Chi compra una rivista di moda, non lo fa certo per toccare la copertina o annusare l’odore di una buona carta e, quando anche la forma fosse ottima e chiara, la cosa che più interessa un lettore, e ad un fruitore in generale, è il contenuto. In questo il consumatore di prodotti editoriali deve rivedersi, deve identificarsi nel prodotto. Il consumo di un certo prodotto mediale è rappresentativo di come noi siamo. Chi compra una rivista di moda, lo fa perché vuole essere una persona aggiornata sui trend e sulle tendenze di costume. Attraverso quell’acquisto si riflette e si ribadisce un preciso modo di essere. In questo modo il prodotto mediale diviene un veicolo di affermazione dell’identità ed agisce a pieno titolo sul livello riflessivo della mente. Pensiamo a riviste come Playboy, Vogue, Rolling Stones, le quali sono diventate oggetti di culto, nel senso che i consumatori vi hanno caricato significati che vanno ben oltre la loro contingenza. Chi acquista tali riviste afferma una precisa identità. Così accade anche per il cinema o per la TV, laddove si preferiscono determinati contenuti ad altri per affermare la propria indifferenza verso il trash, o l’amore per il sentimentalismo o il gossip. Guardiamo la collezione di mp3 di una persona felicemente innamorata e quella di un single incallito, quale delle due avrà più canzoni d’amore? La risposta è ovvia.
Il livello riflessivo è quello che può, in alcuni casi, sovrastare gli altri due. Pensiamo a chi guarda film molto violenti e horrors spaventosi, esperienze visceralmente spiacevoli e paurose, ma che in quel momento danno il piacere di sentirsi impavidi, forti di stomaco, oppure pensiamo al rifiuto intellettuale di chi non consuma contenuti divertenti e pop, che attraggono l’attenzione della maggior parte delle persone, per il solo gusto di distinguersi, darsi un tono elitario. Per questo un contenuto mediale che riesce a raggiungere il piano identitario del proprio pubblico di riferimento, sarà un prodotto di successo. Riviste di successo come Vogue, Cosmopolitan, Men’s Health, Chi, Max, Grazia, Millionaire, Playboy, sono tutti prodotti che vengono acquistati, oltre che per l’interesse verso i contenuti, per il fatto che rappresentano un mondo di cui il lettore vuole far parte.

BIBLIOGRAFIA
Norman D., Emotional Design, Apogeo, Milano, .2004


Giovanni Romito